Prefazione di Marilia Albanese del libro di Paolo Pacciolla e Anna Luisa Spagna; La Gioia e il Potere, musica e danza in India.
Vasanta Ragini, Second Wife of Dipak Raga Folio from a Ragamala (Garland of Melodies) India, Rajasthan, Marwar, circa 1675-1700 Opaque watercolor and gold on paper Los Angeles County Museum of Art
Secondo una visione shivaita, nel seno del Principio primo trascendente e assoluto si agita un’incessante vibrazione, un frenito proiettivo, spanda, che dà origine all’infinita varietà dell’universo. Archetipo del suono e matrice di tutte le parole, lo spanda produce un complesso di rissonanze sottili, nada, da cui provengono i mantra, formule mistiche evocatrici, semi sonori di tutte le forme diferenziate.
Tale complessa concezione trova esemplare rappresentazione nell’immagine di Shiva Nadatanu, ‘costituito di suono’, il cui tamburo a clessidra, il damaru, allude al potere creativo del Dio. E se al ritmico battere dello strumento si deve la manifestazione dell’universo, è sempre a un’operazione ritmica che è demandata la sua dissoluzione: esseguendo il terribile tandava Shiva Nataraja, ‘Signore della danza’, digrega e polverizza il mondo sotto i suoi piedi. E quando il ciclo dell’esistenza ricomincia di nuovo, accanto al dio dell’origine Brahma appare la sposa Sarasvati reggendo la vina, uno strumento a corde, e proferisce il mondo denominando gli oggetti, poiché ella è anche Vac, la Parola, tanto più potente quanto meglio salmodiata.
Così il suono e il movimento fin dagli albori accompagnano la vita: ogni cosa ha una sua frequenza vibratoria, gli stessi dei posseggono un’essenza sonora e appaiono danzando. La musica e la danza, dunque, occupano un posto fondamentale nella cultura indiana, non solo come sperienza artistica, ma anche e sopratutto come veicolo di realizzazione spirituale. L’artista riproduce nel mondo manifesto echi immaginari della Verità immanifesta, facendo della sua creazione un veicolo di fruizione estetica, rasa. Tale processo di alchimia spirituale, che parte dal vissuto emotivo dell’artista, si prefigge di risvegliare nel friutore emozioni e sentimenti che non sono più individuali e contingenti, ma universali ed eterni. In tal senso il rasa, ineffabile godimento artistico, è esperienza estetica liberatoria, prossima a l’esperienza mistica.
La ricerca musicale e coreutica è dunque una delle chiavi fondamentali per comprendere l’arte indiana e le sue sottili implicazioni simboliche e sacre. La presente opera si propone di investigare tali tematiche a più livelli, ripercorrendo l’iter storico fin dalle origini e ricostruendo gli sfondi naturali e urbani delle esecuzioni, con l’emergere del tempio quale luogo di unificazione delle varie arti. È infatti nella contruzione sacra, ove tempo e spazio trasmutano l’uno nell’altro, che è evidente il rimando tra le varie discipline: dalla scultura alla danza per esprimere emozioni e sentimenti, dall’architettura alla musica per creare strutture e ritmi, tutte operano per realizzare l’unità di forma ed essenza.
Tuttavia è dalla dialettica polare che nasce l’evento artistico: le riflessioni sul maschile e il femminile, sui processi psicologici e le teorie estetiche, sulle diverse modalità di sentire e procedere nell’ambito spirituale, allargano gli orizzonti dell’opera e rendono più articolate e fruibili le parti strettamente tecniche conesse con la musica e la danza. Ne deriva un testo composito, che è al tempo stesso ricerca e testimonianza dato che i suoi autori non sono solo studiosi, ma prima di tutto interpreti delle arti che presentano.
Marilia Albanese
Prefazione del libro di Paolo Pacciolla e Anna Luisa Spagna; La Gioia e il Potere, musica e danza in India. Besa Editrice.